l’appartenenza come fratelli
Stavolta vi scrivo da casa. In effetti, sono stato in chiesa ed è stata aperta dalle undici circa fino alle due e mezza. Un po' di preghiera, un po' di accoglienza (di chi dona e di chi ha bisogno), un po' di dialoghi telefonici. Vite che s'incrociano, s'intrecciano, si toccano anche per poco. Io, che posso incontrare qualcuno solo fuori casa, già da qualche giorno avverto la mancanza di poter stringere una mano, di poter ridurre la distanza con l'altro, di guardare l'altro per quello che è, non per il pericolo di contagio che rappresenta. Mi torna in mente ancora il papa, venerdì scorso: "Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli". Parole chiare? Sono davvero convinto di spogliarmi sempre più delle maschere del ruolo, del "la società mi impone", del "così fan tutti", del "non posso fare altrimenti"? Saprò andar oltre il limite di come io intendo la vita? Riuscirò a lasciar venir fuori l'essenziale della mia persona e nelle relazioni quotidiane?
don Luca